La Corte di Cassazione civile sez. I, con la sentenza n. 21349 del 13 agosto 2019, ha analizzato la delicata questione concernente il diritto del minore di non aggiungere al cognome materno quello paterno.
Nel caso di specie, il padre biologico della minore (di quindici anni) ha richiesto, oltre al riconoscimento della figlia, che quest’ultima portasse il proprio cognome a quello della madre; il Giudice di prime cure ha accolto la richiesta di riconoscimento, ma ha ordinato che la minore conservasse il cognome della madre.
Tale decisione è stata, però, impugnata dinanzi alla Corte di Appello, che ha ordinato, invece, di aggiungere il cognome del padre.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non ha considerato fondate le doglianze di controparte, accogliendo i motivi di ricorso proposti. Infatti, la ricorrente ha lamentato la mancata considerazione «del grave deterioramento dei rapporti padre/figlia culminato nel rifiuto così espresso da parte di quest’ultima “Biologicamente è mio padre, ma io non lo voglio. Nessuno me ne ha parlato male… Non lo voglio e basta. lo non ci riesco a volerlo. Non lo vedo da mesi, io sto bene senza di lui…”» e l’inesistenza di una reale motivazione data dalla Corte di Appello, che non ha rispettato i principi fondamentali da applicare a tale sensibile materia.
In primis, è d’uopo ricordare che, in materia di cognome dei figli nati fuori dal matrimonio, il codice civile afferma che «il figlio [naturale] assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio [naturale] assume il cognome del padre. Se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata, o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio [naturale] può assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre. Se la filiazione nei confronti del genitore è stata accertata o riconosciuta successivamente all’attribuzione del cognome da parte dell’ufficiale dello stato civile, si applica il primo e il secondo comma del presente articolo; il figlio può mantenere il cognome precedentemente attribuitogli, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno della sua identità personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori in caso di riconoscimento da parte di entrambi. Nel caso di minore età del figlio, il giudice decide circa l’assunzione del cognome del genitore, previo ascolto del figlio minore, che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento»[1].
La Corte, nel caso di specie, ha affermato che «in tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto non contestualmente dai genitori […], i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, avente copertura costituzionale assoluta; che la scelta, anche officiosa, del giudice è ampiamente discrezionale e deve avere riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all’ambiente in cui è cresciuto fino al momento del successivo riconoscimento, non potendo essere condizionata dall’esigenza di equiparare il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dall’art. 262 c.c., che presiedono all’attribuzione del cognome al figlio nato nel matrimonio[2]».
La sentenza prosegue sottolineando che l’oggetto di tutela è il minore, poiché «il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali della persona e ciò che rileva non è l’esigenza di rendere la posizione del figlio nato fuori dal matrimonio quanto più simile possibile a quella del figlio di coppia coniugata, quanto piuttosto quella di garantire l’interesse del figlio a conservare il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità[3]».
La minore età aggrava, dunque, il compito del giudice, il quale deve decidere, sulla base di scelte discrezionali, se modificare o no il cognome del minorenne.
L’ordinanza n. 17139 della Corte di Cassazione, sez. VI, del 20 giugno – 11 luglio 2017, in merito ai criteri di scelta, già evidenziava che «nel decidere il giudice deve ispirarsi all’interesse del figlio, eventualmente assecondando la volontà del minore di non volere né sostituire, né aggiungere il cognome del padre al proprio».
Il giudice, quindi, deve decidere individuando proprio l’interesse del minore, in base all’ambiente in cui è cresciuto, a chi concretamente lo ha cresciuto, le sue abitudini e tutta una serie di fattori che impediscono, appunto, l’applicazione di un’automatica e semplice attribuzione o aggiunta del cognome.
In conclusione, il minore ha il pieno diritto di rifiutare il
cognome paterno e, in ogni caso, il giudice ha il dovere di agire nel suo
migliore interesse.
[1] Vedi art. 262 c.c.
[2] La sentenza in questione richiama con tale dichiarazione un’altra pronuncia della Corte di Cassazione civile, sez. I, n. 12640 del 18 giugno 2015.
[3] Come già detto dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 17139 dell’11 luglio 2017.
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di Giulia Rossitto