La tutela del minore nei paesi musulmani


Negli ultimi tempi dottrina, giurisprudenza ed esperti del diritto si sono ritrovati a dover spesso discutere di tutela minorile nel diritto islamico. Tralasciando il complesso tema della kafala, nei Paesi di matrice musulmana come viene tutelato il minore?

Bisogna premettere che, al momento, in questi paesi vige un diritto musulmano moderno: a parte alcune incursioni nel diritto di famiglia, il corano e la religione in generale non vengono più presi a base per la creazione di norme ma si assiste ad un processo di laicizzazione del diritto.

In Algeria è in vigore la legge n. 05-09 del 4 maggio 2005, che tratta il matrimonio e la protezione del minore all’interno della famiglia. In particolare, il padre deve prendersi cura e mantenere i figli. In caso di divorzio il Codice di famiglia estende il diritto di custodia anche al padre oltre che alla madre. Il ruolo della madre, infatti, nella crescita del figlio è considerata fondamentale, per questo il padre è spesso messo in secondo piano. Negli anni però in questo paese si sono registrati molti casi di omicidio di minori da parte dei padri, che hanno abusato dei mezzi di educazione. Per questo motivo nel 2013 il governo algerino ha approvato un testo di legge che protegge i minori da qualsiasi forma di negligenza, violenza, maltrattamento, sfruttamento o danno morale, fisico, psicologico o sessuale. Inoltre, la legge prevede l’istituzione di un mediatore, nominato tramite decreto presidenziale, che si occupa di aiutare e intercedere per qualsiasi minori in caso di violazione della legge.

Per la Tunisia bisogna fare riferimento  al decreto 13\8\1956, il quale afferma che durante il matrimonio la custodia dei figli è esercitata congiuntamente da entrambi i genitori, che cooperano nell’educazione e provvedono insieme ai bisogni della prole. In caso di scioglimento del matrimonio la custodia è attribuita al genitore che secondo il giudice meglio rappresenta l’interesse del minore. Diversa la soluzione nel caso in cui il custode sia di religione diversa rispetto a quella del padre. In questo caso la custodia cesserà al raggiungimento del quinto anno d’età del minore o, a prescindere dall’età, nel caso in cui vi sia fondato motivo di temere un pericolo di allontanamento dalla religione paterna. Il mantenimento del custodito rimane comunque a carico del padre, il quale dovrà tra le varie cose garantire un’abitazione adeguata al minore e al suo custode.

Negli ultimi anni però la situazione politica tunisina è stata alquanto instabile. Ciò ha comportato un peggioramento nei diritti, soprattutto di quelli minorili. Molte associazioni infatti hanno criticato l’aumento esponenziale e incontrollato di scuole materne coraniche, scuole che rompono quella tradizione laica forgiata Habib Bourguiba. In tali scuole spesso viene insegnato che l’uso della violenza può essere utile turbando quell’innocenza infantile che invece dovrebbe essere protetta.

Fondamentale è il Codice della protezione del fanciullo (legge n. 92 del 9 novembre 1995  promulgata a Tunisi il 24 maggio 2004). Questo codice contiene 27 principi generali e risulta la prima codificazione nazionale per la tutelare degli interessi dei minori emanata da uno stato islamico. Questo perché va in determinati casi a sostituirsi alle leggi regionali tunisine e alla stessa normativa nazionale contenuto nel Codice di statuto personale tunisino.

Per capirne meglio la portata andiamo a leggerne alcuni. L’art. 2 enuncia che il codice garantisce al fanciullo il beneficio di ogni misura preventiva a carattere sociale, educativo, sanitario, per tutelarlo contro ogni forma di violenza, pregiudizio, aggressione fisica, psichica o sessuale, dall’abbandono, dallo sfruttamento e da trattamenti degradanti. L’art. 3 fornisce la definizione di fanciullo, cioè ogni persona umana minore degli anni 18. L’art. 4 ci dice che l’interesse superiore del fanciullo, che deve essere salvaguardato in ogni attività riguardante i minori, sia essa compiuta nella sfera giudiziaria, amministrativa o da qualunque altra istituzione pubblica o dai privati. Valore quello dell’interesse superiore del minore che si può ritrovare anche nell’art. 4 della Carta africana dei diritti e del benessere del fanciullo del 1990, che riprende il principio contenuto nella Convenzione O.N.U. di New York del 1989. L’art. 5 sancisce il diritto all’identità, al nome, alla registrazione nell’anagrafe e alla nazionalità sin dal momento della nascita. Altro articolo molto importante è il 20, nel quale vengono elencate le situazioni difficili capaci di minacciare la salute del minore o la sua integrità fisica e morale:  la perdita dei genitori; l’esposizione del fanciullo all’accattonaggio e vagabondaggio; assenza continuata e prolungata all’educazione e alla protezione; maltrattamento abituale; sfruttamento sessuale; sfruttamento del fanciullo in attività delittuose ad opera della criminalità organizzata; sfruttamento economico e induzione all’accattonaggio;  incapacità dei genitori o dei tutori di fornire assistenza ed educazione. Il codice continua poi parlando dell’istituzione, delle attribuzioni e del funzionamento del  delegato alla protezione del fanciullo, istituito presso le province, al quale per obbligo di legge, la cui omissione viene penalmente sanzionata con pene molto severe, devono essere segnalate, da chiunque ne abbia conoscenza, tutte le situazioni di rischio di cui all’art. 20 che possono riguardare dei minori.

Al delegato  vengono attribuite le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria, il quale può  compiere indagini tese a verificare la fondatezza della segnalazione, con facoltà di convocare i genitori o il tutore e di ascoltare il minore, redigendo verbale dell’audizione. Il delegato può inoltre proporre alcune misure Convenzionali che possono essere di varia natura: dalla permanenza in famiglia eliminando i fattori di rischio, alla permanenza in famiglia sotto condizione di essere affiancati dai servizi sociali, l’allontanamento del minore e all’affidamento ad altra famiglia o altra istituzione sociale.  Della misura scelta si sigla un accordo che viene trasmesso al giudice tutelare, il quale vigilerà sull’andamento. Nel caso non si trovi una misura idonea al caso concreto, il delegato trasmette una relazione con le relative richieste al giudice tutelare, il quale deciderà nel rispetto dell’interesse superiore del minore. Bisogna però dire che in caso di estrema urgenza il delegato può bypassare il giudice e  disporre misure di sua iniziativa anche con l’ausilio della forza pubblica, chiedendo la convalida in un momento successivo.

In Egitto  la situazione è più complessa perché la normativa fa semplicemente un rinvio alle norme di diritto musulmano di scuola Hanafita. Di particolare importanza, nel nostro caso può essere la legge n. 4 del 2005 che  affronta il problema della custodia dei minori e della loro tutela. In particolare l’art. 20,  stabilisce il diritto delle donne alla custodia dei figli fino al raggiungimento dell’età di quindici anni, indipendentemente dal sesso del minore. Una volta raggiunta questa età, il giudice darà la possibilità al minore di scegliere con quale dei due genitori stare. Qui però il regime cambia, nel senso che potrà convivere con la madre  fino al raggiungimento del ventunesimo anno d’età, se di sesso maschile, o fino al matrimonio, se di sesso femminile. Durante tale lasso temporale la madre però non avrà nessun diritto al mantenimento.

Questo paese non sempre è riuscito  a tutelare veramente i minori e spesso le associazioni di diritti umani hanno denunciato casi di violenze, stupri e omicidi, nonostante abbia sottoscritto l’accordo con le Nazioni Unite del giugno del 2011 riguardante la tutela del diritto e della libertà, che conteneva anche una parte riguardante i minori. Le grandi sfide dell’Egitto per i diritti dei bambini sono la protezione, l’istruzione, i mezzi di sussistenza e l’assistenza sanitaria di base. Il paese è oberato ormai di casi di immigrazione irregolare, abuso di lavoro minorile, bambini in cura istituzionale e mutilazioni genitali femminile.

Infine, parliamo del Marocco. Paese che ha ratificato la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo dell’ONU nel 1993. Da questa ratifica sono stati formulati due rapporti sulle condizioni del fanciullo, presentati al Comitato dei diritti del fanciullo dell’ONU, uno nel 1995 e l’altro nel 2000. Gli interventi statali in materia hanno interessato particolarmente le norme legate alla šar†‘a. Sono stati posti in essere interventi ingerenti sia in materia penale che civile e amministrativa. Questa normativa ha voluto in particolare guardare alla delinquenza minorile, ai portatori di handicap e alla diffusa mortalità infantile, sempre nel rispetto dei valori sociali e culturali islamici.

Il Marocco ha poi istituito l’Osservatorio nazionale per i diritti del fanciullo, che organizza ogni anno il Congresso nazionale dei diritti del bambino; il Plan d’Action National che si occupa dell’infanzia. Ciò è avvenuto sotto il controllo della Lega per la protezione del bambino, la quale ha anche istituito quattro commissioni che si occupano dello statuto personale, al diritto alla salute, al lavoro, all’educazione e alla cultura, e ha organizzato, con il sostegno dell’U.N.I.C.E.F., dell’U.N.E.S.C.O., dell’Unione Europea e degli Stati Uniti diverse giornate di studio dedicate a tematiche legate ai minori.

Riassumendo la normativa possiamo trovare il diritto alla non discriminazione, l’interesse superiore del fanciullo per tutta la durata della minore età, il diritto alla vita e allo sviluppo in modo adeguato, sono state inasprite le pene per l’omicidio dei minori o violenze su di essi, il diritto all’identità del minore anche se nato da persone ignote, la libertà religiosa, il divieto di eccesso di mezzi di educazione da parte dei genitori.

In  Marocco, poi  in ambito familiare il minore è tutelato dalla  Mudawwana (Codice di diritto di famiglia 70-03 del 3 febbraio 2004). Il quale tra le varie ci dice che in caso di divorzio, i figli sono affidati in prima istanza alla madre, altrimenti al padre e infine alla nonna materna. La valutazione di ciò spetterà al giudice, che deciderà in nome dell’interesse superiore del minore. Il Codice prevede espressamente che, al raggiungimento del quindicesimo anno, i figli avranno diritto di scegliere il genitore o, in loro assenza, uno dei parenti più prossimi, cui essere affidati. Si sottolinea come il padre non perda tutti i doveri nei confronti dei figli in caso di divorzio. Inoltre la donna divorziata che intenda risposarsi infatti perderà il diritto alla custodia dei figli a partire dal settimo anno di età, a meno che il figlio non sia malato.

In realtà in questi paesi la situazione non è proprio come viene descritta nei testi giuridici. Secondo i dati dell’UNICEF, ogni giorno in Marocco vengono abbandonati 24 bambini, di cui il 2% dalla nascita. E di questi, il governo si fa carico solo del 10% attraverso gli orfanotrofi pubblici. I restanti sono accolti sotto la protezione di associazioni. Ma in Tunisia, Egitto, Algeria la situazione non è diversa, anzi c’è un aumento esponenziale di abusi sui minori. Le associazioni presenti sul territorio si stanno adoperando per cercare di migliorare questa situazione. Ma non basta, ciò che sarebbe necessario è che i governi mettessero tra i punti principali di loro interesse la tutela del minore, ciò però a causa di ancora forti tensioni non è possibile e la loro tutela resta legata e limitata all’ambiente familiare.

di Lisa Guerra