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La dichiarazione di adottabilità del minore è un istituto, proprio del diritto civile, che si occupa di valutare le circostanze nelle quali è necessario separare il figlio minore dalla famiglia.
Data la delicatezza e la complessità della questione, sono stati individuati dei requisiti che portano a far intervenire l’Autorità. Si ritiene, infatti, che tali misure, poiché portano alla rottura dei legami tra il minore e la propria famiglia, debbano essere utilizzate solo in circostanze eccezionali, ossia nel momento in cui i genitori si siano dimostrati totalmente inadatti o quando sia necessario agire per tutelare il minore.
Il procedimento per l’accertamento e l’eventuale dichiarazione dello stato di abbandono è regolamentato dagli artt. 9[1]e seg. della legge n. 184 del 1983[2], in materia di adozioni.
È necessario, però, che la condizione del minore sia palesemente a rischio. La segnalazione, infatti, deve contenere la descrizione della situazione in cui il minore si trova e che fa presumere un pericolo di abbandono grave.
Quanto detto è stato oggetto di una attenta analisi da parte della recente sentenza della Corte di Cassazione Civile, Sez. I, n. 3873 dell’8 febbraio 2019.
Nel caso concreto, la Corte di Appello dell’Aquila ha respinto l’appello proposto dalla madre di un minore di anni diciotto, la quale si è opposta alla dichiarazione dello stato di adottabilità del figlio minore, afflitto da gravissimi problemi di salute quali la cecità, l’impossibilità di parlare e di deambulare correttamente oltreché da gravi crisi epilettiche.
La Corte di Appello «ha confermato la dichiarazione di adottabilità, avendo ritenuto che» la madre «che si era opposta alla dichiarazione di adottabilità […], era affetta da problemi psicologici[3], oltre che in condizioni di indigenza e priva di lavoro» e che «aveva mostrato carenti capacità genitoriali». Ciò detto, la Corte «ha tuttavia autorizzato la prosecuzione degli incontri tra la madre ed il figlio fino al momento dell’affidamento del minore ad una famiglia adottiva, sulla considerazione che tale possibilità si prospettava come problematica».
La Corte di Cassazione, dopo aver attentamente valutato le ragioni addotte dal giudice di seconde cure, ha, però, raggiunto conclusioni diverse.
La ricorrente, infatti, «rammentando il diritto del minore a crescere nella propria famiglia, sostiene che – nel caso di specie – non sussisteva lo stato abbandonico propedeutico alla dichiarazione di adottabilità perché, nonostante le condizioni di indigenza della madre, non si era mai realizzato l’abbandono morale del minore e ravvisa una contraddittorietà nella statuizione laddove, dopo avere riferito dei problemi psicologici non risolti della stessa, viene tuttavia consentita la prosecuzione degli incontri madre/figlio», e per codesto motivo lamentava il mancato rispetto degli artt. 1 e 8 della l. n. 184 del 1983, nonché dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dell’art. 3 della Convenzione di New York.
Inoltre, come ulteriore motivo, la ricorrente «denuncia la nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo: si duole che la Corte di appello abbia ravvisato lo stato di abbandono con esclusivo riferimento alle sue precarie condizioni economiche sulla base della relazione della cooperativa Orizzonte, senza espletare la perizia psicologica per accertare le sue reali capacità genitoriali».
Perciò, la Corte di Cassazione non può che condividere le violazioni sopra lamentate.
La motivazione, prosegue la Corte, sta nel fatto che «il minore ha diritto di essere educato nell’ambito della propria famiglia e le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto»[4].
Occorre ricordare, infatti, che «il sacrificio dell’esigenza prioritaria del minore di crescere nella famiglia di origine è possibile solo in presenza di una situazione di carenza di cure materiali e morali, da parte dei genitori e degli stretti congiunti – ed a prescindere dalla imputabilità a costoro di detta situazione -, tale da pregiudicare in modo grave e non transeunte lo sviluppo e l’equilibrio psicofisico del minore stesso».
Inoltre, «per la dichiarazione dello stato di adottabilità che determina la rescissione del legame familiare come prezzo inevitabile per evitare un danno maggiore ed irreversibile per il minore e che preclude qualsiasi possibile raffronto tra il tenore di vita consentito nell’ambito della famiglia naturale e quello che il minore potrebbe trovare in una famiglia adottiva – non è sufficiente l’inadeguatezza dell’apporto economico, affettivo o materiale dei genitori, e la loro limitatezza culturale, ma è necessaria la prova certa che le cure prestate dalla famiglia non superino la soglia di un’assistenza minima e si traducano nella mancanza delle cure più elementari»[5].
Infine la Corte rimarca con fermezza i requisiti che la valutazione deve avere affinché la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore possa essere accolta, e cioè che deve «basarsi su di una reale, obiettiva situazione esistente in atto, nella quale soltanto vanno individuate, e rigorosamente accertate e provate, le gravi ragioni che, impedendo al nucleo familiare di origine di garantire una normale crescita, ed adeguati riferimenti educativi, al minore, ne giustifichino la sottrazione allo stesso nucleo»[6].
In conclusione, la dichiarazione di adottabilità del minore
di diciotto anni deve considerarsi come una “extrema ratio” legislativa, poiché consiste in un’ingerenza nella vita
familiare dei consociati ed è ammissibile solo se soddisfa sia i requisiti
previsti dalla legge (primo fra tutti il principio di proporzionalità) sia l’assolvimento
di un bisogno imperativo di tutela nei confronti del minore da parte di una
società democratica.
[1] Tale articolo di occupa delle segnalazioni dello stato di abbandono che possono essere effettuate da chiunque sia a conoscenza di una condizione abbandonica. È bene ricordare però che solo per la Pubblica Autorità sorge un obbligo di avviso di tale situazione, mentre per i privati è una facoltà.
[2] Tale legge è stata modificata prima nel 2001 con la l. n. 149 del 2001, poi nel 2013, dal d.lgs. 154 del 2013.
[3] È d’uopo sottolineare che ciò è stato affermato anche nella sentenza della Corte di Cassazione n. 18563 del 29 ottobre 2012, come di seguito riportato: «l’adottabilità non può fondarsi di per sé su anomalie non gravi del carattere e della personalità dei genitori, comprese eventuali condizioni patologiche di natura mentale, che non compromettano la capacità di allevare ed educare i figli senza danni irreversibili per il relativo sviluppo ed equilibrio psichico».
[4] Artt. 1 e 8 della l. 184 del 1983, poi modificata con la legge n. 149 del 2001.
[5] Sentenza della Corte di Cassazione n. 8360 del 26 luglio 1993.
[6] Sentenza della Corte di Cassazione n. 8877 del 14 aprile 2006.
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di Giulia Rossitto