
Nella quotidianità gli adolescenti condividono tanti aspetti della loro vita: inviano e-mail, postano commenti e fotografie sui social network e scambiano centinaia di messaggi. In questo scenario può accadere che la tecnologia sia utilizzata per realizzare condotte illecite e che apprezzamenti e interazioni possano dare vita ad atteggiamenti subdoli. Lo stalking è disciplinato dall’articolo 612-bis del codice penale che punisce gli atti persecutori; non parla di cyberstalking ma la legge n. 119/2013 ha introdotto un aumento di pena qualora l’illecito sia commesso con l’uso di strumenti informatici.
Il termine deriva dall’inglese “to stalk” che significa “braccare” e lo stalker è colui che perseguita la vittima e la aggredisce con minacce, molestie o telefonate non gradite. Nel reato di stalking la condotta procura alla persona offesa un grave stato d’ansia, generando timore per l’incolumità e costringendola a modificare le proprie abitudini di vita. Il cyberstalking si configura come una condotta ripetuta che tormenta e denigra la vittima attraverso costanti e cospicui invii di messaggi o e-mail dal contenuto offensivo, l’intrusione nel sistema informatico della vittima o la diffusione sulla rete di contenuti lesivi che possono minare il suo benessere psicologico.
La giurisprudenza tenta di colmare questo vuoto legislativo: nel 2010 la Corte di Cassazione ha pronunciato una sentenza in cui ha ricondotto nello stalking i continui episodi di molestie, concretizzatesi in telefonate, invii di sms e di messaggi di posta elettronica, nonché di messaggi tramite internet. Poiché il cyberstalking è diffuso anche tra i giovani sarebbe auspicabile uno specifico intervento normativo del nostro legislatore.
di Fabio Cruccu, giurista specializzato in Diritto minorile con focus su educazione digitale, giornalista pubblicista e presidente associazione F4CR network