Con i termini happy slapping (“schiaffo allegro”) e cyberbashing (“zuffa virtuale”) si indicano forme violente di cyberbullismo apparse in Inghilterra nel 2004, quando un gruppo di adolescenti decise di infastidire verbalmente e fisicamente degli sconosciuti, riprendendo tali aggressioni con i loro smartphone e caricando i materiali nelle diverse piattaforme web. Lo spirito di emulazione spinse moltissimi giovani a livello globale a filmare e vessare sconosciuti e a compiere vere e proprie azioni di teppismo incontrollato.
Emerge quindi il carattere corale dell’azione bullizzante: il branco organizza l’agguato ai danni della vittima che sarà esposta a sofferenze fisiche, provocate dalle percosse, e all’umiliazione causata dalla diffusione online di quella violenza, riproducibile un numero illimitato di volte e fruibile da qualsiasi utente nella rete. Tali video hanno inoltre la capacità di divenire virali, andando ad alimentare discussioni online, condivisioni e generando un gran numero di visualizzazione in cui la vittima viene picchiata da uno o più aggressori.
Queste condotte, spesso minimizzate come ragazzate, in realtà configurano diversi reati come le percosse (art. 581 c.p.), le lesioni personali (art. 582 c.p.) e la diffamazione (art. 595 c.p.). Vi sarà inoltre una violazione del codice civile in riferimento all’abuso dell’immagine altrui (art. 10 c.c.) e una violazione della legge sulla privacy. È quindi importante educare i ragazzi alla responsabilità delle proprie azioni nel mondo reale e virtuale, sottolineando che è proibito registrare o possedere immagini con atti di violenza e che l’incitamento, il concorso in tali atti e il mancato soccorso sono anch’essi punibili e sanzionabili.
di Fabio Cruccu, giurista specializzato in Diritto minorile con focus su educazione digitale, giornalista pubblicista e presidente associazione F4CR network