
Per promuovere strategie finalizzate a rendere Internet un luogo più sicuro, a cominciare dagli utenti più giovani, è necessario arricchire le conoscenze di ogni fruitore delle Rete. Sapersi districare tra le app, approcciarsi ai diversi social network e riconoscere i numerosi termini che inquadrano specifiche azioni commesse nel web è oggi indispensabile per muovere i primi passi in una educazione civica digitale che integra, potenzia e aggiorna le competenze di ogni singolo cittadino, al fine di incoraggiarlo ad un uso positivo degli strumenti informatici.
L’educazione digitale, infatti, permette di approfondire i fenomeni di cyberbullismo e di hate speech, il discorso d’odio che si sviluppa online, proteggendo i giovani dai contenuti inadatti e aiutandoli a mantenere sane relazioni con i coetanei, una generazione nella quale l’essere connessi è un’esperienza connaturata alla quotidianità.
Dietro al termine flaming (dall’inglese to flam, infiammare nel gergo delle comunità virtuali) si nascondono storie quotidiane di cyberbullismo: insulti, discussioni sui social e offese, spesso tendenti alla volgarità, con l’intento di accendere le liti, irritare qualcuno o prenderlo di mira in un commento. Si desidera così infastidire una persona in un forum con l’intento di farla reagire. Spesso l’azione è svolta per suscitare risate tra i presenti nella chat room ma di fatto la condotta è di tipo denigratorio. Il flamer pertanto mira a creare una rissa verbale virtuale (flame war). Nelle interazioni di gruppo virtuali è quindi necessario osservare la netiquette (regole di buona condotta sul web) ed evitare di reagire a sterili provocazioni che hanno solo come obiettivo fomentare e inasprire la condivisione delle informazioni sui social.
di Fabio Cruccu, giurista specializzato in Diritto minorile con focus su educazione digitale, giornalista pubblicista e presidente associazione F4CR network