
In un periodo come quello attuale dove la tecnologia può aiutare le persone a sentirsi meno isolate, occorre prestare attenzione all’uso delle app di messaggistica e dei social network: il fenomeno del sexting è infatti una pratica ormai consolidata tra adulti e giovani, ma l’invio di foto e video dal contenuto sessualmente esplicito può avere dei risvolti spiacevoli che possono dare vita al revenge porn e al sextortion.
Con il termine revenge porn (dall’inglese “revenge”, vendetta) si indica la diffusione di immagini sessualmente esplicite con lo scopo di danneggiare e umiliare la vittima, creandole un danno psicologico e economico, attraverso la diffusione non consensuale di immagini intime esplicite che la ritraggono. Ipotesi classica è quella dell’ex partner che decide di inviare a terze persone dopo la conclusione della relazione il materiale audio, video o fotografico intimo, prodotto consensualmente nel corso della stessa.
Non sempre chi agisce è spinto da vendetta o dalla consapevolezza che sta compiendo un reato: recentemente, infatti, con l’approvazione del Codice rosso (legge n. 69 del 2019) sulle violenze domestiche è stata introdotta una norma sulla diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate. Tale reato è punito con la reclusione da uno a sei anni.
Con il termine sextortion (dall’unione delle parole inglesi “sex”, sesso ed “extortion”, estorsione) si indica un ricatto sessuale realizzato attraverso l’uso del web e delle nuove tecnologie. Si tratta di una truffa online utilizzata dai criminali informatici per estorcere denaro alle proprie vittime mediante ricatti sessuali ricorrendo ai social network o attraverso finte e-mail minatorie.
di Fabio Cruccu, giurista specializzato in Diritto minorile con focus su educazione digitale, giornalista pubblicista e presidente associazione F4CR network