La mediazione penale minorile


Il processo minorile è un argomento delicato per il fatto che stiamo parlando di minori, quindi si dovrebbe cercare di ottenere una rapida espulsione degli stessi dal circuito penale, in modo da limitare il più possibile i danni che i minori possono avere entrando in contatto con l’apparato giudiziario.

Cosa fondamentale dovrebbe essere infatti il recupero totale del minore creando in lui una sorta di responsabilizzazione rispetto al fatto di reato. Questa presa di coscienza può, a determinate condizioni, essere svolta in modo ottimale dalla mediazione penale minorile.

Materia, che alla luce di esempi americani ed europei, è entrata in vigore grazie al DPR n. 448 del 1988 “Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”. Queste disposizioni sono fondate, oltre che sui principi costituzionali, su due principi cardine: quello di offensività del processo, volto alla riduzione degli interventi giudiziari, in particolare di quelli di natura coercitiva; e quello riparativo, volto a una maggiore consapevolezza da parte del reo, a una riparazione del danno, alla riconciliazione tra le parti e a un maggior senso di sicurezza da parte della collettività.

La normativa nel suo complesso è interessante, impossibile da analizzare in un solo scritto, quindi mi soffermerò sugli articoli cardine in materia di mediazione. Primo fra tutti l’articolo 9, che prescrive, in fase di indagini preliminari, l’acquisizione di elementi utili alla valutazione delle condizioni e delle risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minore. Il secondo comma poi aggiunge che “il pubblico ministero e il giudice possono assumere informazioni da persone che abbiano avuto rapporti con il minorenne e sentire il parere di esperti, senza alcuna formalità di procedura”. E proprio da questo comma che inizia la strada verso l’attuazione alla mediazione.

Altro articolo interessante a riguardo è il 27 del DPR 448/88, che contempla la pronuncia di non luogo a procedere e quindi di non esercitare l’azione penale per irrilevanza del fatto, prevedendo preliminarmente l’audizione del minorenne, dell’esercente la potestà dei genitori e della persona offesa dal reato.

In fase processuale invece, entra in giuoco l’art. 28 DPR 448/88, che prevede la sospensione del processo e messa alla prova del minorenne, attraverso un provvedimento del giudice che può anche contenere prescrizioni dirette alla riparazione del danno e alla promozione di iniziative di conciliazione con la vittima. Inoltre, è previsto che il giudice, qualora valuti che la prova abbia avuto esito positivo, debba dichiarare con sentenza l’estinzione del reato.   Grazie all’istituto della messa alla prova viene, infatti, introdotta una  vera  misura  di probation,  che  consente  di rispondere  al  reato  senza  l’inflizione  di  una  pena  e,  segnatamente,  di  una  pena  detentiva. In tal modo sovvertendo l’assunto secondo cui l’entità della sanzione costituirebbero l’unico modo per rispondere al  male del reato.

Secondo Vania Patanè, docente di diritto processuale penale di Catania, “Ciò che lascia perplessi, nella dinamica applicativa della norma esaminata, al di fuori di possibili articolazioni e contenuti del progetto di intervento, è che la collocazione dell’attività di mediazione in una fase successiva all’esercizio dell’azione penale, all’interno di un istituto funzionalmente concepito come alternativa alla condanna, rischia di degradare la mediazione stessa ad una mera alternativa alla pena e non più al processo, intervenendo quando l’iter del procedimento ha già fissato i presupposti per sanzionare il comportamento attraverso forme più o meno rilevanti di composizione autoritativa del conflitto, con una conseguente, inevitabile stigmatizzazione del minore nel ruolo di imputato che la mediazione dovrebbe invece evitare.”

Secondo altri studiosi invece, le prescrizioni nell’ambito della sospensione del processo con messa alla prova tendono  a responsabilizzare al massimo il minore colpevole cercando di superare l’offesa arrecata. Come si può notare questo articolo è molto controverso in dottrina, soprattutto perché ciò che interessa maggiormente è il superiore interesse del minore.

Infine, bisogna ricordare che il nostro codice di procedura penale all’art. 564 ci offre un ulteriore opportunità per l’attivazione della mediazione in quanto attribuisce al Pubblico Ministero la facoltà di tentare una conciliazione fra querelante e querelato.

insomma tende a promuovere un processo di modifica delle condizioni personali e relazionali sia familiari che sociali del minori, in modo da eliminare quegli ostacoli al sviluppo personale e sociale del minore.

È uno strumento di opportunità anche per la vittima, la quale può esprimere il suo disagio. Purtroppo però siamo ancora lontani a livello culturale per vedere la mediazione un’opportunità soprattutto perché le vittime di reato sono spesso acciecate dalla rabbia verso il carnefice. E non vedono nella mediazione un’opportunità per comprendere i motivi della condotta illecita, limitando così l’ansia.

Possiamo concludere dicendo che il sistema penale minorile italiano si sta avvicinando sempre più a un orientamento secondo cui il recupero del minore sia più importante della repressione. Si deve quindi auspicare che questa pratica trovi una collocazione dogmatica più autonoma e funzionale, all’interno  della  quale i ricorsi  a pratiche di restorative  justice siano  valorizzati come  risposta  efficiente  alla  conflittualità sociale.

Lisa Guerra