 La valorizzazione dell’ascolto del minore d’età interessa molteplici procedimenti civili: dalle procedure adottive, all’ascolto dei bambini capaci di discernimento e/o degli adolescenti in caso di crisi coniugale e, per finire, lo ritroviamo in correlazione con l’esercizio della funzione della responsabilità genitoriale e il principio ora operante nel nostro ordinamento dell’autodeterminazione del minore.
La valorizzazione dell’ascolto del minore d’età interessa molteplici procedimenti civili: dalle procedure adottive, all’ascolto dei bambini capaci di discernimento e/o degli adolescenti in caso di crisi coniugale e, per finire, lo ritroviamo in correlazione con l’esercizio della funzione della responsabilità genitoriale e il principio ora operante nel nostro ordinamento dell’autodeterminazione del minore.
L’art. 147 del codice civile italiano pone le basi del diritto del minore ad essere ascoltato e comincia proprio dal primo nucleo in cui si ritrova un fanciullo, la famiglia; esso riguarda, ad esempio, le decisioni sulla scelta della scuola, della professione religiosa o dello sport da praticare.
L’articolo sopramenzionato enuncia espressamente il dovere dei genitori di “tener conto dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”.
Questo dovere di ascolto si pone anche a carico di altre comunità sociali e sicuramente la scuola riveste un ruolo importante per dare risalto e attenzione al minore.
L’articolo 147 c.c. è di grande peso perché rende legislativamente arbitraria ogni iniziativa dei genitori volta a forzare senza motivo la personalità del minore e, inoltre, viene data la legittimità al figlio di resistere a ogni compressione e alterazione della propria individualità.
A questa espressa previsione normativa si affiancano una serie di norme dei Trattati internazionali ben conosciuti tra cui la famosissima Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, la Convenzione europea di Strasburgo del 1996 sull’esercizio dei diritti del fanciullo, ratificate dall’Italia dopo qualche anno, e, si aggiunge una considerevole giurisprudenza.
A questo proposito ricordo la prima e significativa decisione del Tribunale per i minorenni di Bologna nel 1973, nella quale veniva affermato l’obbligo educativo dei genitori di tener sempre conto della personalità del minore e, pertanto, si impediva ai genitori di inserirsi, tanto meno di opporsi, alle scelte ideologiche e sentimentali di un figlio. Nel caso specifico i giudici autorizzavano il figlio minorenne e, in prossimità al compimento dei diciotto anni, a vivere fuori dalla famiglia perché ritenuto idoneo e utile per raggiungere l’indipendenza psicologica ed economica.
In linea di massima, un ragazzo, a meno che non ci siano delle valide e giustificate preoccupazioni o pericoli, è libero di decidere sulla sua persona sia per quanto riguarda la sua sfera più intima e personale, sia per quanto riguarda le sue idee: è fatta salva la sua libertà di aderire a un partito o a un’associazione, di esprimere pubblicamente determinati pensieri in manifestazioni, e sia in ordine a decisioni più concrete come il desiderio di frequentare una determinata scuola, di scegliere la sua professione o anche solo uno sport che non piace ai genitori. Occorre, per non creare confusione, specificare che il principio di autodeterminazione che la legge, la giurisprudenza e la dottrina tutelano fortemente, riguarda, in particolar modo, gli adolescenti, ossia quei soggetti (dai 13 anni fino al raggiungimento della maggiore età) che si trovano in quella fase di transito, i quali sono proiettati e si avviano ad entrare nel mondo degli adulti con tutte le conseguenze e le responsabilità che ne derivano.
L’ascolto del fanciullo e dell’adolescente è, senza dubbio, il mezzo più efficace e concreto con il quale realizzare la volontà e la promozione del minore cui è orientata tutta la scienza del diritto e non solo.
Dopo la previsione codicistica, la legge n. 54 del 2006 sull’affidamento condiviso compie un passo avanti considerevole circa il coinvolgimento e la partecipazione del minore nei procedimenti di separazione e di divorzio dei genitori .Alla luce dell’art. 155-sexies c.c. –ora abrogato- di codesta legge, al giudice -nel sentenziare sui casi di separazione personale dei coniugi- veniva affidato il potere di disporre l’audizione del figlio minore che avesse compiuto i 12 anni o anche di età inferiore, ove capace di discernimento.
L’innovazione più importante la ritroviamo però nella legge approvata il 10 dicembre 2012, n. 219, la quale, con la stesura dell’art. 315-bis c.c., contempla un elenco dei diritti soggettivi di cui è titolare un figlio nei confronti dei genitori.
Tra questi, viene inserito e consacrato come diritto, quello dell’ascolto del minore.
La dottrina ha sottolineato il doppio valore riformatore contenuto nell’art. 315-bis: il primo è che esso, diversamente dall’art.155-sexies c.c. in cui si parla di dovere del giudice a disporre l’audizione, qui c’è, invece, un DIRITTO sostanziale del minore ad essere ascoltato e gli si riconosce una forza cogente; il secondo valore riguarda l’estensione del diritto a tutti i procedimenti che coinvolgono la vita del minore e, non solo per i casi di crisi coniugale come previsto antecedentemente.
È d’obbligo, pertanto, rilevare anche il cambio di terminologia, non più “audizione” del minore, ma si legge per la prima volta di “ascolto”. Questa è una differenza terminologica assolutamente non trascurabile che anzi, denota il cambio di rotta intrapreso dal legislatore che consiste nel prestare attenzione alle esigenze del minore, ai suoi desideria e che pertanto configura una predisposizione da parte di chi ascolta di modificare le proprio opinioni proprio a seguito dell’ascolto.
Il diritto di famiglia ha continuato la sua evoluzione e, pertanto, le novità introdotte con la L.219/2012 saranno poi perfezionate l’anno successivo (2013) con l’emanazione del decreto legislativo n.154.
Con l’introduzione dell’art. 336-bis del sopraindicato decreto si pone, però, l’accento dell’ascolto del minore nell’ambito della separazione e del divorzio. A modesto parere di chi scrive, la forza riformatrice della legge si estrinseca proprio in relazione alla disciplina della crisi familiare nei quali tutti gli equilibri di un minore vengono in ogni caso alterati e, quindi, senza dubbio, c’è bisogno di ricorrere a questo straordinario mezzo di aiuto e di emersione della volontà vera e limpida di un soggetto comunque da tutelare e fare in modo di realizzare quel “best interest of the child” che la comunità internazionale chiede ad ogni Stato.
Quanto alle modalità con le quali va effettuato l’ ascolto, la legge prevede che il minore venga ascoltato dal Presidente del tribunale o dal giudice delegato nell’ambito dei procedimenti che lo riguardano, anche con l’ausilio di figure esperte (come gli psicologi dell’età evolutiva o gli educatori).
Nello specifico, le modalità di ascolto possono essere di due tipi: diretto cioè effettuato direttamente dal giudice in udienza, eventualmente, anche con il supporto di un ausiliario competente e, indiretto che consiste nella decisione del magistrato di delegare l’ascolto del minore ad un ausiliario specializzato anche nell’ambito di una Consulenza tecnica d’ufficio.
Indipendentemente dalle modalità prescelte, esistono una serie di raccomandazioni per la procedura dell’ascolto e che il giudice, e tanto più l’esperto che lo affianca, hanno il dovere di osservare, tenendo in debito conto l’età del minore, il quale:
- deve essere messo al corrente in precedenza (meglio se dai genitori o dal suo eventuale curatore o tutore) del colloquio che avrà con il giudice e/o il suo delegato e di come esso si svolgerà;
- al momento della convocazione non deve essere costretto a lunghe attese: pertanto, chi effettua l’ascolto è tenuto alla puntualità;
- deve essere adeguatamente informato sulle motivazioni per cui è stato richiesto l’incontro e del fatto che il giudice (o il suo delegato) potrà non mantenere il segreto su quanto emerso dal colloquio;
- deve ricevere l’opportuna accoglienza, allo scopo di essere messo a suo agio;
- deve aver dedicato un tempo congruo per potere raccontare il suo vissuto e rispondere alle domande che gli vengono poste.
- deve essere ascoltato attraverso un linguaggio semplice e il più possibile adeguato alla sua età;
- non deve subire alcun tipo di pressioni: non bisogna, quindi, prospettarli la risposta già nella domanda, tentando di fargli confermare qualcosa che chi ascolta già conosce, ritiene assunto o valuta come la soluzione migliore per lui;
- deve essere ascoltato in un luogo adeguato, né troppo affollato (come un’aula di pubblica udienza) né desolato; la stanza dell’ascolto deve essere, quindi, accogliente e attrezzata con criteri finalizzati ad evitare al minore il trauma dell’impatto con l’istituzione giudiziaria e rendere così più agevole l’acquisizione delle sue dichiarazioni. Per questo, molti tribunali hanno predisposto delle specifiche aule, munite di sistemi di audio e video ripresa e di specchio unidirezionale che consente agli eventuali soggetti presenti in una stanza adiacente di assistere all’ascolto. Il giudice, infatti, può autorizzare i genitori, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore ed il pubblico ministero a partecipare all’audizione; tutti questi soggetti possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell’inizio dell’ adempimento.
Il contenuto del colloquio (che dovrà riferire anche il contegno avuto dal minore) può essere riprodotto in un verbale scritto oppure essere video registrato.
Esistono, in ogni caso, delle situazioni nelle quali il giudice può rinunciare all’audizione del figlio.
Una di queste è quella in cui il minore, avendo meno di 12 anni, non sia ritenuto capace di discernimento. Tale capacità non va confusa con quella di intendere e di volere, meglio nota in ambito penale (dove il minore di 14 anni non è imputabile e si presume incapace di comprendere il significato delle leggi penali e le conseguenze di legge di una determinata condotta) ma essa rappresenta una categoria psico- giuridica che fa riferimento alla capacità del minore di elaborare autonomamente idee e concetti, di avere opinioni proprie e di comprendere gli eventi. Il giudice potrà valutare la sussistenza o meno di tale capacità anche disponendo, prima di ascoltare il minore, una osservazione, attraverso un colloquio clinico-valutativo, da parte di un perito. Di solito comunque, tale capacità viene ritenuta sussistente quando il bambino abbia raggiunto l’età scolare.
Altra ipotesi di esclusione è prevista quando l’ascolto contrasti con l’interesse del minore: un esempio tipico è il caso in cui il figlio sia già stato ascoltato in altre occasioni su questioni per lui molto dolorose e in grado di porlo in uno stato d’ansia (come violenze fisiche o psicologiche subite o anche assistite).
Ancora, il giudice può evitare l’ascolto del minore quando questo sia manifestamente superfluo; tale situazione viene di norma individuata in tutti quei casi in cui i genitori abbiano raggiunto un accordo sulle questioni di vita dei figli; in tali casi, infatti, si presume che sussista (al pari di quanto avviene nella vita quotidiana di una coppia non separata) la capacità dei genitori di trovare le soluzioni che maggiormente tutelino la prole. Ciò non toglie che – poiché il giudice, anche in caso di accordo, non è tenuto ad omologare condizioni relative ai figli che ritenga potenzialmente dannose per gli stessi – egli possa comunque decidere di procedere all’ascolto(cosa che, di solito, tuttavia, non avviene).
Un ultimo caso in cui l’obbligo dell’ascolto viene meno si ha quando sia proprio il figlio ad esercitare il suo diritto a non essere ascoltato. Poiché si parla di diritti è ovvio capire che ad esso corrisponde anche la facoltà del minore di non avvalersene. Questo, secondo le statistiche e gli studi del caso, succede specialmente nei casi in cui i genitori “litigano” per l’affidamento o la collocazione dei figli, i quali vivono un grande senso di ansia, di frustrazione e di condizionamento da parte di uno o dell’altro dei genitori e non riescono a parlare o rifiutano categoricamente di esprimersi.
A questo punto è opportuno segnalare che questi comportamenti tenuti dagli adulti, tesi a denigrare l’ex compagno o coniuge agli occhi dei minori, sono destinati a produrre nel tempo sui figli più danni psicologici di quanti non siano i benefici che si pensa di portare loro allontanandoli dall’altro genitore.
Concludo ribadendo i grandi passi avanti che sono stati compiuti dal nuovo diritto di famiglia, segno di civiltà e di rispetto anzitutto di quel principio costituzionale basilare espresso dall’art. 2 della Carta Costituzionale che sancisce i diritti inviolabili di ogni persona, ma auspicando, da parte di ogni individuo o comunità o istituzione che ne venga a contatto, sempre maggiore tutela e attenzione verso i bambini e i ragazzi in modo da poter crescere e diventare adulti nel miglior modo possibile***.
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di Adriana Fucci
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***Fonte: www.laleggepertutti.it
