Tra la disforia di genere minorile e il gender fluid


Con il termine transessualità o transessualismo si fa riferimento alla condizione di “una persona il cui sesso non è anatomicamente certo o che, pur essendo di sesso anatomicamente certo, si considera appartenente all’altro sesso, del quale aspira ad assumere le caratteristiche anatomiche e i comportamenti”.

Un soggetto transessuale è, quindi, una persona che, nata e registrata quale appartenente al sesso maschile o femminile, ha successivamente sviluppato quello che un tempo veniva semplicisticamente liquidato come “disturbo dell’identità” e che oggi viene, invece, riqualificato sotto la denominazione di “disforia di genere”, vale a dire una mal sopportazione della propria condizione, non più da considerarsi malattia, quanto piuttosto necessità di reclamare un’identità diversa da quella imposta dal certificato di nascita.

Già dalla semplice definizione di transessualismo si possono facilmente intuire tutte le problematiche sottese a tale fenomeno: ci si trova dinnanzi a situazioni di dissociazione tra l’identità sessuale fisica di una persona e la percezione che la persona stessa ha di sé, con conseguente desiderio di ricostruire una corrispondenza che sembra essere mancante.

Tutte queste problematiche risultano ancor più evidenti laddove a manifestare la propria insofferenza e a rivendicare il diritto alla propria identità sessuale sia un minore.

La disforia di genere minorile è, a sua volta, una condizione diversa dal gender fluid, fenomeno di cui, ultimamente, anche in Italia si è cominciato a parlare. In entrambi i casi si tratta di minori privi di un’identità di genere fissa: mentre, infatti, la maggior parte dei bambini già dalla primissima infanzia, intorno ai 2/3 anni, sviluppa un’identità di genere in linea con il proprio sesso biologico, altri bambini si identificano con il sesso opposto (disforia di genere) mentre altri ancora non assumono un’identità sessuale ben precisa, oscillando tra quella maschile e quella femminile fino allo sviluppo adolescenziale (gender fluid).

A differenza di quanto accade in altri Paesi del mondo, come Stati Uniti, Olanda o Gran Bretagna, dove tali fenomeni sono da tempo sotto osservazione, in Italia poco si è detto e ancora meno si è fatto, benché, nel corso degli ultimi anni si stia tentando di recuperare terreno, come testimonia la nascita di alcuni centri specializzati nella disforia di genere minorile attivi nelle principali città italiane.

Solo pochi mesi fa ha, invece, visto la luce miofiglioinrosa, primo blog italiano a trattare il tema dei bambini gender fluid, la cui autrice, Camilla ha deciso di condividere l’esperienza di chi vive quotidianamente il confronto con un figlio che, pur essendo nato biologicamente maschio, dice di sentirsi (anche) femmina e (anche) come tale si veste e si comporta, preferendo giochi ed abbigliamenti femminili a quelli maschili; e come Camilla sono molte le famiglie che si trovano a confrontarsi con questa difficile realtà e che finiscono col sentirsi abbandonate da uno Stato che non tutela in alcun modo loro e i loro figli.

In realtà, almeno per quanto attiene alla disforia di genere minorile, esistono da tempo linee guida internazionali che, tuttavia, in Italia non sono ancora state recepite, con la conseguenza che, in mancanza di una legge nazionale ben definita, l’orientamento prevalentemente seguito da medici e psicologi sembra quello di lasciar manifestare liberamente l’identità che il bambino sente, dopo, naturalmente, essersi accertati che trattasi di un’esigenza profonda e totalmente indipendente da qualsiasi tipo di trauma o problema endocrino che possa interferire.

Da un punto di vista meramente giurisprudenziale, un orientamento pregresso delle Corti negava categoricamente ai minori disforici la possibilità di richiedere di accedere alla procedura di rettifica del proprio sesso, motivando che, nei casi in cui il legislatore ha inteso riconoscere spazi di capacità di agire al minore, lo ha sancito espressamente, come nell’ipotesi di un’eventuale interruzione di gravidanza. Tale impostazione negava altresì la possibilità che fossero i genitori a presentare la domanda in vece del figlio minore, stante, comunque, il carattere strettamente personale di tale azione.

Un orientamento più recente (l’ultima pronuncia risale al giugno 2016) ha accolto, invece, il principio della rappresentanza dei genitori che sono pertanto legittimati a richiedere l’accesso alla procedura di rettifica del sesso per conto del figlio minore disforico che abbia raggiunto almeno il sedicesimo anno di età; secondo i sostenitori di questo diverso approccio, il diritto al coerente sviluppo della propria identità sessuale, di cui al minore viene riconosciuta la piena titolarità, viene considerato un aspetto particolare del diritto alla salute, costituzionalmente garantito, e da intendersi quale comprensivo anche del benessere psichico e relazionale della persona.

In ogni caso, è evidente come quello della disforia di genere minorile sia un tema estremamente delicato, che coinvolge non soltanto il minore, ma anche, inevitabilmente, la sua famiglia e l’intera collettività; un fenomeno reso ancor più complesso dalla mancanza di previsioni di legge e di strumenti sociali adeguati, e di cui è difficile calcolare con precisione l’ampiezza: stando ai dati raccolti dai ricercatori olandesi, veri e propri pionieri in questo campo, il problema potrebbe riguardare circa l’1% della popolazione sotto ai 12 anni; e pur essendo vero che nei bambini (under 12) che mostrano comportamenti cross-gender o gender fluid solo il 15% li mostrerà ancora in età adolescenziale, è altrettanto vero che tali dati risultano inevitabilmente alterati da coloro che per cultura e convinzioni personali o per disinformazione, o ancora, semplicemente, per paura di non essere accettati all’interno di una società che troppo spesso si è dimostrata non ancora pronta ad apprezzare la diversità, preferiscono non affrontare il problema.

“Bisogna capire che la normalità non esiste e che la diversità, intesa come varietà, è la vera ricchezza del genere umano” Camilla, autrice di miofiglioinrosa.

di Martina Famlonga